giovedì 29 marzo 2012

PERSONE RISPETTABILI


Approfitto di questa rubrica per far sapere ai miei genitori che ieri mi hanno scambiato per una persona rispettabile nonostante i capelli lunghi e la folta barba.
La scorsa settimana ho ricevuto una serie di lettere dalla Berliner Sparkasse, la mia banca, che per avvisarmi sulle nuove norme per le transazioni bancarie e invitarmi all’attivazione dei TAN (Transaction Authentication Number) via sms, mi ha sommerso di fogli in Tedesco burocratese, pieni di PIN e altri codici di sicurezza.
Colto da sgomento davanti a parole incomprensibili e impronunciabili quali “Lastschriftrückgabe” o “Vertragsdatenänderung” sono corso a chiedere aiuto nella filiale dove ho aperto il conto. L’impiegato che mi ha soccorso era un ragazzo sui trent’anni, gay, in giacca e pantaloni neri e con una barba molto curata. Sulla targhetta appuntata sulla giacca c’era scritto: Ugur Toklar. Mentre ero di fianco a lui per digitare al computer i miei nuovi user name e password, mi è venuta incontro una signora con un libretto in mano che ha iniziato a chiedere informazioni e ad aspettare risposte da me sul da farsi. Ugur l’ha fermata e, gentilmente,  le ha chiesto di aspettare il proprio turno. Solo allora ho capito che mi aveva scambiato per un impiegato della banca nonostante il mio abbigliamento casual e il mio aspetto da capellone barbuto. L’errore della signora ha una spiegazione: la tendenza a Berlino è quella di evitare ogni forma di discriminazione, sessuale  o di razza, religiosa o estetica o per la visione che uno ha del mondo. E’ molto facile, infatti, trovare persone dal look curioso o non  proprio “conforme”, che fanno lavori per i quali, normalmente, in Italia come nel resto della Germania, è richiesto un certo aspetto, un certo tipo di cura, soprattutto per quelle professioni per cui è prevista una divisa. Succede spesso di vedere alla guida di autobus e metro persone con creste colorate o acconciature bizzarre, così come  è facile vedere poliziotti con piercing  e tatuaggi in volto. Questa possibilità ha dato vita a fenomeni che più di una volta mi hanno sorpreso. Fra i tanti, due in particolare: un conducente della metropolitana al quale la BVG (la CAP di Berlino) ha dato una divisa da donna da indossare nelle ore di servizio e un prete protestante, a cena al ristorante con il compagno e la suocera. Tutte queste persone, alla stessa maniera, a Berlino, sono considerate persone rispettabili.


giovedì 22 marzo 2012

BERLIN UNDERGROUND


C’ erano almeno trecento persone sabato scorso nello scantinato di un bar, il “Fuchs und Elster”, in uno spazio di circa 250 mq in cui si accede scendendo una scala che in Italia e nel resto della Germania non farebbero usare nemmeno per un pollaio. Eravamo tutti lì per sentire (e per ballare) il concerto dei Knoblauch Klezmer Band: violino, fisarmonica, clarinetto, contrabbasso e cajon che per due ore, con brani Klezmer e Gypsy, hanno fatto scatenare corpi e ghiandole sudoripare.
Stranamente (e per fortuna) questo è uno dei rari non smoking club di Berlino, ma per il resto è un bar come ce ne sono tanti: niente servizio ai tavoli, poltrone, divanetti e tavolini bassi, candele, muri volutamente “scrostati” e impianto elettrico con cavi volanti tenuti insieme da un po’ di nastro isolante, in barba alle più elementari norme CEE sulla sicurezza. E come in centinaia di altri locali, anche al “Fuchs und Elster” per la programmazione musicale, DJ set o live che sia, nel fine settimana, si aprono le cantine, ma non quelle per la degustazione del vino, ma letteralmente gli scantinati. Tutte le volte che mi trovo in uno di questi posti, spesso privi di uscite di sicurezza, vengo colto prima da un po’ di sano panico, che mi porta a cercare un posto nello spazio dove ci sia una possibile via di fuga, poi a dirmi come sia possibile che ciò che vedo stia accadendo nel 2012 nella capitale del Paese che detta la politica economica al resto d’Europa e, infine, a chiedermi: ma allora chi è che ha ragione?
Ho ascoltato il concerto in un angolo del locale, di fianco al palco, davanti ad una porta allarmata che dava accesso ai camerini. Il posto era veramente sovraffollato, pieno di ragazze e ragazzi, uomini e donne, alcune incinta e, nonostante il caldo e l’umidità tropicale che c’era nell’aria, tutti continuavano a saltare e sudare allegramente. Io ballavo sul posto, in modo contenuto, per non sudare troppo e per non perdere di vista la situazione. Ed è proprio a forza di guardare gli altri che ballano spensierati, che sudano e ridono, che fanno la fila per il bagno o per prendere un’ altra bevuta che incomincio a rilassarmi anch’io e a non pensare più, almeno non in modo paranoico, al fatto che in qualsiasi altro posto d’Europa quella situazione sarebbe oggettivamente pericolosa oltre che illegale. Ma non qui a Berlino. Almeno così sembra e non ho ancora capito perché. 

martedì 13 marzo 2012

IL CERCHIO CHIUSO


Marie è venuta a vivere a Berlino nel 2008. Dice di sentirsi a suo agio qui, perchè sente di aver chiuso un cerchio. E’ nata e cresciuta a Monaco dove ha studiato fino a 20 anni. Poi, come la maggior parte dei ragazzi tedeschi, finita la scuola è partita per un viaggio: un anno in Australia, poi in Grecia e per 4 anni a Londra dove si è laureata alla “Fine Arts and New Media Accademy”.
Il cerchio che dice di aver chiuso venendo a vivere a Berlino riguarda la storia della sua famiglia, la famiglia Donat. Originari di Dresda (una delle città delle DDR), da non simpatizzanti del regime socialista, i nonni Donat non hanno mandato nelle scuole “consigliate” i propri figli. Questo darà non pochi problemi a papà Donat nella vita e nel lavoro: non essendo cresciuto “in linea” col sistema non ebbe possibilità di carriera - un po’ come accadeva nell’ Italia del dopoguerra a chi non era iscritto alla DC! - e dopo essere stato rifiutato per due volte all’università perseguì la sua passione per il teatro organizzando seminari e spettacoli, ma la satira che veniva fatta nei work shop di cabaret non era vista di buon occhio dai politici della città. Fu per questo che, insieme alla madre di Marie, decisero di lasciare la Germania dell’ est e di trasferirsi a Monaco: tentare la fuga ad “Ovest”, però, con due bimbe piccole (le sorelle di Marie) era troppo rischioso. Fu grazie ad un ammorbidimento dei rapporti tra i due blocchi contrapposti (Accordi di Helsinki,1975) che a molte persone fu concesso di lasciare la DDR con carte e documenti alla mano, soprattutto a quei soggetti che, come il padre, screditavano il regime, ma non potevano di fatto essere arrestati. Nel 1976 i coniugi Donat fecero la richiesta di trasferimento e nel 1978 riuscirono ad ottenere il permesso ufficiale per lasciare Dresda. La famiglia riuscì a stabilirsi a Monaco nel ’79. L’anno dopo nascerà Marie, che ora vive nella capitale tedesca, in una via dove, non molto tempo fa, sorgeva il muro e dove ancora si respira molto di quell’ “Est” che non c’è più. Tutto questo, infatti, me lo ha raccontato dopo che ha salutato Bernd, un uomo sulla 50ina, molto inserito nel sistema al tempo della DDR (probabilmente impiegato nella Stasi) che oggi, invece, è uno dei tanti alcolisti che non hanno retto lo shock di aver visto crollare nel giro di poche settimane, insieme al muro, il credo, i princìpi, i sogni, di quello che per molti era un mondo ideale.           

domenica 4 marzo 2012

C' E' SEMPRE UNA PRIMA VOLTA


A differenza di qualche sedicente galantuomo io posso dire, senza mentire, di non aver mai pagato una donna in cambio di “favori” sessuali. Ci tengo a precisare che non ho niente in contrario con chi sceglie di vivere del mestiere più antico del mondo, uomo o donna che sia, purchè la sua scelta sia dettata dal libero arbitrio e non da ricatti, soprusi o altre ingiustizie. Premesso questo, vengo al punto: lo scorso Venerdì sera, mentre passeggiavamo per il Mitte (il centro) di Berlino, Lasien (un amico Albano/Italiano) ed io, siamo stati letteralmente messi spalle al muro da Joyce e Francy, due ragazze berlinesi che di lavoro fanno “il mestiere”. E lo fanno sul marciapiede di una zona elegante della città, molto transitata, specialmente nel fine settimana, attirando l’attenzione dei passanti come ogni bravo ambulante deve saper fare. Per togliermi da quella pressante situazione ho usato uno stratagemma e ho chiesto loro se potevo offrire da bere: com’ era prevedibile hanno accettato senza, però, abbandonare il posto di lavoro. Quando sono tornato con i loro “energy drinks” (Vodka+Redbull) abbiamo scambiato due parole e, fra le varie cose, mi hanno detto che: la loro tariffa è di 80€ a prestazione, che pagano regolarmente le tasse e che per fare “il mestiere” devono denunciare l’attività e sottoporsi a controlli sanitari obbligatori, visto che la prostituzione in Germania, come in altri Paesi d’ Europa, è legale e regolamentata. Joyce e Francy, infatti, sul marciapiede ci stanno solo per fare “vetrina” e i clienti che vogliono comprare i “loro prodotti”, le devono seguire a casa. La situazione in Europa, anche su questa questione, è piuttosto controversa e articolata, ma secondo wikipedia, ci sono tre modelli a cui i Paesi europei fanno riferimento: 1.quello proibizionista,dove la prostituzione è illegale e punita(ad es. in Albania); 2.quello abolizionista,dove la prostituzione non è proibita, ma neanche regolamentata (ad es. in Italia); 3.quello regolamentarista(ad es. in Germania).
Non era la prima volta che parlavo con una prostituta, ma dal tono e dalla tranquillità dello scambio mi sono accorto che c’era qualcosa di diverso: era la prima volta che ci parlavo faccia a faccia, da persona a persona, e non squallidamente dal finestrino di una macchina nel goliardico “puttan-tour” che a volte mi è capitato di fare con gli amici tra Sesto e Calenzano.
Ecco, è stata questa la mia “prima volta”.