mercoledì 29 febbraio 2012

TUTTO IL MONDO E' PAESE


Un paio di cose successe di recente, qui a Berlino, anche se molto diverse fra loro, mi hanno portato a dire, fra me e me, che infondo tutto il mondo è paese.
Mi riferisco, nello specifico, allo sciopero dei dipendenti della BVG (la ditta dei trasporti pubblici di Berlino) e allo scandalo che ha travolto il presidente della Repubblica Tedesca.
Il primo lo hanno chiamato “sciopero d’avvertimento” (Warnstreik), dato che
i sindacati della BVG (la ditta che gestisce una parte delle linee metropolitane (U-Bahn), tram e bus di Berlino) hanno indetto uno sciopero, dalle 04.00 alle 19.00 di Sabato 18 Febbraio, per mettere in guardia i vertici della società di trasporti, in vista delle trattative fissate per lo scorso 20 Febbraio, nelle quali continuare a chiedere un equo adeguamento degli stipendi all’aumento dell’inflazione.
Christian Wullf, ormai ex Presidente della Repubblica Tedesca, indagato a fine 2011 per aver ricevuto vantaggi personali (finanziamenti a tassi di favore da alcuni imprenditori e vacanze pagate da altri) ottenuti grazie alla sua carica pubblica, ha dovuto rassegnare le dimissioni dopo che la stampa tedesca lo ha pesantemente attaccato per le minacce ai danni del direttore di “Bild”, il giornale tedesco venuto in possesso dello scoop, che non si è lasciato intimidire e che ha reso pubbliche le notizie e le minacce di Wullf.
E allora, guardando meglio come i tedeschi stanno gestendo queste due “patate bollenti”, mi sono dovuto ricredere sul fatto che tutto il mondo è paese. Infatti, non solo Wullf si è dimesso dalla carica di Presidente della Repubblica, ma il Parlamento tedesco ha sospeso la sua immunità per farlo processare. E per le loro giuste rivendicazioni, i dipendenti della BVG, hanno fatto questo “sciopero d’avvertimento” di Sabato, per far capire chiaramente ai vertici della società quali siano le loro intenzioni cercando di non penalizzare troppo i cittadini.
Si perché, se lo stesso sciopero venisse indetto per uno o più giorni durante la settimana, i disagi per chi viaggia, e i danni economici per la BVG, sarebbero ben altri, se si considera che mediamente, solo sulla U-Bahn (Tram e Bus esclusi), viaggiano ogni giorno circa 1 milione e mezzo di persone.
E quindi, rileggendo i fatti sotto questa luce, devo proprio ammettere che non tutto il mondo è paese e che per certi aspetti, in questo Paese è tutto un altro mondo.

sabato 18 febbraio 2012

UN ANNO DI "FILO DIRETTO"


Era in occasione della Berlinale dello scorso anno che, per la prima volta, è stato teso questo “filo diretto” tra Berlino e Prato.
Anche quest’ anno, dal 09 al 19 Febbraio, qui nella capitale tedesca sta per concludersi la 62esima edizione del Festival internazionale del cinema.
Tre sono i film italiani: l’unico in concorso è“Cesare deve morire”, dei fratelli Taviani, mentre, nella sezione Panorama Special c’è “Diaz” documentario di Daniele Vicari, sui fatti, non ancora del tutto chiariti, avvenuti nell’omonima scuola durante il G8 di Genova e, sempre sullo stesso tema, nella sezione Panorama, "The Summit", un altro documentario di Fracassi e Lauria.
Come vi dicevo qualche settimana fa, cerco di sapere il meno possibile dei film che vado a vedere e
quelle poche cose che mi erano, inevitabilmente, arrivate alle orecchie sull’ ultimo lavoro di Paolo e Vittorio Taviani, non promettevano niente di buono: si vociferava di un “film lento e noioso” . Anche leggendo i nomi degli attori mi ero detto “ o bene, bene o male, male”, visto che non ne conoscevo neanche uno. Poi, Christiane, la signora a cui do lezioni di Italiano, mi ha invitato ad andare alla prima di questo film, interamente girato nelle celle, nei corridoi e nei cortili del carcere di Rebibbia con i detenuti/attori nei panni di loro stessi che provano e mettono in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare a cui il film è stato liberamente ispirato.
Il pubblico in sala ha accolto con un bell’ applauso i registi toscani già prima della proiezione e con uno più lungo e sentito li ha accompagnati sul palco alla fine del film, smentendo, di fatto, le critiche degli addetti ai lavori.
“Da quando ho scoperto l’ Arte, questa cella è diventata una prigione”. Questa frase segna uno dei momenti più commoventi del film; la dice Cosimo Rega che, dopo il momento di gloria da attore, spogliatosi dei panni di Cassio, viene riaccompagnato e chiuso in cella da un secondino. Soprattutto in quel momento si percepisce quanto sia stata indovinata la scelta del bianco e nero per raccontare la fredda realtà del carcere, e del colore usato solo per riprendere i momenti di teatro. I miei complimenti vanno a tutto il cast, ma in particolare ai fratelli Taviani, a cui non è mancato il coraggio di presentarsi alla Berlinale, nel 2012,  con un film sul “Giulio Cesare”, tutto girato all’interno di un carcere e senza neanche la presenza di una donna.

venerdì 10 febbraio 2012

IN TRANSLATION

Avrei voluto portare anche Nadia, una cara amica empolese in visita a Berlino, a fare il “Berlin free tour” di cui vi ho raccontato un po’ di tempo fa, ma viste le temperature siberiane (a Berlino stanotte si sono registrati -20°!) abbiamo optato per una bella visita ai musei e, dato che il Guggenheim Museum di Berlino il Lunedì è gratuitamente aperto al pubblico, abbiamo deciso di vedere la mostra “Found in Translation” in programma fino al 09.04.2012.
Appena entrati ci ha accolto Saskya, una ragazza berlinese che studia storia dell’arte e che per arrotondare senza fare la cameriera, il lunedì, fa la guida per il Guggenheim Museum di Berlino con indosso una T-shirt con il logo “I love Monday” per sottolineare l’iniziativa del museo.
Saskya è simpatica, spigliata, parla bene inglese (quasi senza accento tedesco) e in meno di un’ora ci ha portato a spasso per la mostra il cui titolo è un chiaro richiamo a “ Lost in translation” film del 2003 di Sophia Coppola. Mentre con la frase “lost in translation” si tende ad indicare tutto ciò che in una traduzione viene inevitabilmente a perdersi, “Found in traslation” è incentrata sul potere delle parole: le opere,infatti, che vanno dal fumetto al film, dalla fotografia al video, mettono in risalto le possibilità, in senso ampio, della traduzione.
I lavori che ai miei occhi sono riusciti di più in questo intento sono stati due: il primo è una video installazione dell’artista statunitense Matt Keegan,  intitolata <<“N” as in Nancy>>, che ritrae la madre, un’ insegnante d’inglese per stranieri, mentre pronuncia parole in inglese con sotto la traduzione in Spagnolo (in un monitor) mentre accanto (in un altro monitor) appaiono immagini, scelte dall’artista da giornali e riviste, che racchiudono lo stereotipo delle parole pronunciate con la chiara intenzione di mettere in risalto i molteplici significati che un’immagine racchiude in sé (ad es. la parola “spazio” associata all’immagine di un astronauta con la bandiera degli U.S.A); la seconda, anche questa una video installazione, è “Cathay”, l’ opera di Lisa Oppenheim che partendo da un’ antica storia cinese tradotta in Inglese ha finito col riprodurla attraverso immagini girate nella China Town di NYC.
Quindi, se capitate nella capitale tedesca con queste temperature, spero di avervi dato una buona dritta su come impegnare bene il tempo senza rischiare l´ assideramento.

domenica 5 febbraio 2012

Da cosa nasce cosa

Se da quasi un anno, ormai, ho questa rubrica su Metropoli come corrispondente da Berlino, è perché a Novembre 2010, ho risposto alle domande di Debora Pellegrinotti che mi ha intervistato dalle pagine dello stesso giornale.
Chiedo scusa se parlo di me, ma per raccontarvi cosa sta succedendo, devo farlo: nel 2008 ho finito di montare un documentario, “Un giorno in Europa" -nuove forme di emigrazione- e, visto che al tempo l’argomento era ancora di scarsa attualità, per un paio d’anni, mi sono improvvisato distributore di me stesso senza grandi successi.
Poi, all’improvviso, qualcosa è cambiato in Italia, l’argomento è diventato attualissimo su giornali e televisioni, la frase “fuga di cervelli” è diventata un tormentone noto a tutti e che ha spinto (fra i tanti) la giornalista Claudia Cucchiarato a scrivere il libro “Vivo altrove” e a dare vita (insieme a Sergio Nava, giornalista di “Radio 24ore”) al “Manifesto degli espatriati”.
Di lì a poco mi sono ritrovato intervistato dall’ASEI (Archivio Storico Emigrazione Italiana), pubblicato sul “Il Vernacoliere”, intervistato da “Metropoli” e invitato al Puccini di Firenze in occasione di una serata che aveva per titolo “La Toscana è un paese per giovani?” e alla quale cercavano di  dare risposte il rettore dell’università di Firenze Alberto Tesi e il governatore della Toscana Enrico Rossi.
Nello stesso periodo (Ottobre 2010) è iniziato il mio rapporto “e-pistol@re” con l’IIC (Istituto Italiano di Cultura) di Berlino che, dopo qualche difficoltà e una serie d’incontri preliminari, ha finito con l’inserire la proiezione del mio documentario all’interno del ciclo “ L’italiano nel villaggio globale”, che si terrà il prossimo Martedì, 7 Febbraio 2012, presso l’Istituto di cultura qui a Berlino.E sembra che la cosa inizi ad interessare anche gli altri IIC delle città in cui il documentario è stato girato.
Rileggendo come sono andate le cose, dal 2006 (inizio delle riprese) ad oggi, posso dire che:
essere stato in anticipo sui tempi, nel riconoscere che stava accadendo qualcosa di particolare in fatto di emigrazione nel nostro Paese, non ha giocato affatto a mio favore; il fatto che l’argomento sia diventato (e sia ancora) attuale, non fa ben sperare per le sorti dell’Italia e dei giovani italiani. Ho la sensazione che mi toccherà riprendere la telecamera e tornare dagli emigrati a vedere come stanno, dopo tutto questo tempo, nelle loro nuove vite.
Chissà che questa volta non sia il momento giusto.