Da Berlino non è facilissimo tenere “sottocontrollo” tutto quello che succede in quello strano Paese chiamato Italia: i giornali li leggo solo nelle versioni on-line (Vernacoliere a parte), la televisione la guardo filtrata da youtube o streaming (e questo è solo un bene!), ma evito accuratamente i telegiornali (tutti!) ormai ridotti a propaganda di coso lì, com’è che si chiama? Scusate, ma la mia memoria tende a rimuovere il superfluo e a trattenere solo ciò che merita.
L’altro giorno, mentre leggevo di tutto il “puttanaio” che continua a riempire le prime pagine dei più autorevoli giornali (anche e non solo tedeschi), la memoria ha preso il sopravvento e, vai a sapere tu come, se n’è andata a ripescare nei suoi anfratti alcune riflessioni di Pier Paolo Pasolini sulla televisione.
E così, mi sono ritrovato davanti al computer a pensare a Pasolini con, davanti agli occhi, la faccia sfatta di Berlusconi.
E pensavo:
“Che abisso. Com’è possibile che entrambi appartengano allo stesso genere, alla stessa specie?”
Per sua fortuna (e purtroppo per noi) Pasolini non ha conosciuto il Berlusconismo.
Chissà cosa ci avrebbe visto e scritto, sennò.
Del berlusconismo inteso non solo come l’insieme dei danni che un criminale ha fatto -e sta facendo- ad un Paese per sfuggire al naturale corso della giustizia, improvvisandosi politico di rincorsa e modificando e facendo leggi per la sua personalissima causa, ma inteso anche come la concatenazione degli eventi sociali, politici ed economici -legali e non- che si sono susseguiti in Italia (in maniera non del tutto casuale: P2, Gladio, Strategia della tensione, ecc.), dal dopo guerra alla così detta fine della prima Repubblica e di cui “coso” sta finendo di portarne a compimento gli obiettivi, ritrovatosi a gestire (con un MARE di soldi di mai chiarita provenienza) un sistema politico, mediatico ed economico, preparato e regalatogli da logge massoniche, da politici -di ieri e di oggi- e dalle mafie di sempre.
Il Berlusconismo, in senso ampio, è figlio e metafora del miraggio del benessere che l’industrializzazione ha millantato in questo Paese: dopo gli effetti iniziali del miracolo economico italiano, il bluff si è smascherato, in meno di 50 anni il castello è crollato, lasciando sul tavolo non solo un mucchio di carte sparse, ma danni irreversibili alla società, alla democrazia, all’ economia di un Paese che, secondo molti, avrebbe già fatto “crack” (come la Grecia o il Magreb) se non fosse stato per la propensione al risparmio tipica degli italiani dell’epoca.
L’ intero Paese si regge oggi - ormai a stento - sui risparmi che i nostri nonni e i nostri genitori sono riusciti a fare ieri.
Negli anni ’70, proprio mentre i fatti accadevano davanti al suo sguardo illuminato e lungimirante, Pasolini, da “Scrittore Corsaro”, scriveva: “ […] Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’ intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè, come dicevo, i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. […] La responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. E attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. […]”.
Dalle pagine del "Corriere della Sera" con il titolo
"Sfida ai dirigenti della televisione" Pasolini criticava e sfidava il potere, i suoi modi e i suoi mezzi.
Chissà cosa - e soprattutto dove - scriverebbe oggi Pasolini di Berlusconi.
Ma purtroppo e per fortuna, Pasolini non ha conosciuto il Berlusconismo.
Almeno non con questo nome.