venerdì 20 luglio 2012

"MIDSOMMAR"


21 Giugno, Svezia, isola di Knippla. Altro solstizio, altra festività: “Midsommar”.
Anche se nella traduzione letterale significa “metà estate”, con questo termine, in Svezia, si indica la festa nazionale che si celebra per il solstizio d’ estate. In questa ricorrenza, rigorosamente pagana, si celebra la fertilità della Terra e della Natura in generale, e in più posti del Paese, nelle piazze, nei porti o dove c’è abbastanza spazio, viene issato e piantato per terra, un palo lungo circa cinque metri completamente rivestito di foglie verdissime. Tutti sono vestiti a festa e le donne hanno i capelli intrecciati e pieni di fiori: la tradizione vuole che raccolgano sette tipi di fiori diversi, che li mettano sotto il cuscino per sognare l’amore della loro vita che, però, potrebbe non essere il loro attuale compagno. Io purtroppo ho partecipato poco alla festa: un po’ perché la sera stessa sono dovuto ripartire per Berlino e un po’ perché due giorni prima ero stato al funerale di Bror Erik Andersson, il nonno paterno della mia fidanzata. Il funerale è stato celebrato da un prete donna, venti giorni dopo la sua morte, in una chiesa del ‘500 che sembrava lo scafo di una barca di legno capovolto, a mo’ di tetto, su una stanza semplicissima, con un organo e delle panche di legno. Dopo la toccante e partecipata cerimonia siamo andati tutti in una sala attigua alla chiesa dove abbiamo mangiato un piatto tipico svedese, bevuto un caffè e salutato i familiari del defunto. La prima volta che sono andato su Knippla era in occasione del Natale 2009, faceva freddo, c’era la neve e proprio Bror mi aveva fatto sentire “in famiglia” dicendo: “Ieri era il 21 Dicembre, il solstizio d’ Inverno, il giorno più corto dell’ anno. Da oggi le giornate ricominceranno ad allungare fino al prossimo solstizio, il 21 di Giugno, e sarà “Midsommar”. Dovresti tornare qui d’ estate, dovresti vedere questo posto quando fa caldo, quando la gente fa festa . Da quel pontile si possono fare i tuffi”. Ed è veramente bella Knippla con tutta quella luce, con il sole che alle 20:00 è ancora alto e caldo. C’è vita su quell’ isola d’ estate. Ma Bror non c’è più, e non aver
  sentito la sua profonda e forte risata riecheggiare in salotto mentre guarda la TV mi ha fatto davvero effetto. Ho sentito un gran vuoto, la sua mancanza. C’è vita su Knippla d’estate, ma Bror è morto. E mi dispiace tanto.

venerdì 13 luglio 2012

"LA FORMICA, LA CICALA E FREDERICH"


Ero così piccolo quando ho sentito la storia di “La formica e la cicala” che non ricordo neanche quando è stata la prima volta. Mi ricordo solo che provavo una certa tristezza pensando alla formica che d’ estate lavorava duramente, intenta a far provviste per i momenti difficili, mentre la cicala cantava spensieratamente. E ancora più triste era la situazione ribaltata, quando, giunto l’ inverno, la cicala, andando a domandare da mangiare alla formica, si sentiva rispondere: “Hai cantato tutta l’ estate? E adesso balla!”.
Questa storia di Esopo ha la sua bella morale, è senz’  altro piena di saggezza, ma è anche cinica e senza mezze misure.
Recentemente, parlando dei progetti per l’ estate con alcuni amici tedeschi, più di uno ha fatto riferimento a Frederich, un topo che era solito “far niente” mentre gli altri componenti della sua famiglia pensavano a far provviste per l’ inverno e lo incalzavano con domande tipo: “Perché non aiuti anche tu Frederich?” alle quali lui rispondeva pacifico: “Sto aiutando, sto raccogliendo i raggi di sole e  i colori dei fiori e le parole per l’  inverno”. E quando arrivò l’ inverno e iniziò a scarseggiare il cibo, Frederich cominciò a ristorare la famiglia con le sue provviste e, raccontando del sole, dei fiori e delle parole, fece trascorrere serenamente il resto dell’ inverno.
Anche questa storia di Leo Lionni ha la sua bella morale ed è piena di saggezza, ma non è affatto cinica. Sembra voler riabilitare quelli che, nonostante le apparenze, lavorano con gli altri e per gli altri, solo che lo fanno in maniera diversa, magari con un altro ritmo, in altre forme, ma non per questo in maniera meno produttiva o meno utile alla società. Credo che il topo Frederich racchiuda in sè l’ essenza del ruolo dell’ artista e dell’ arte in generale. Dopo aver  letto questa storia, mi sento di dire che una società è  tanto più civile quanto più considera l’ Arte come qualcosa di fondamentale e indispensabile, come il pane e l’ acqua. Soprattutto nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, dove i primi tagli che si fanno vanno a discapito dei settori considerati superflui ma che superflui non sono. Anzi.
E poi, per dirla con Oscar Wilde, “Niente è più necessario del superfluo”.

sabato 30 giugno 2012

A SCUOLA DI TEDESCO


C’è un cinese, un turco, quattro spagnoli, una uzbeka, due polacche, un’ indonesiana, una francese, un greco, un australiano, una statunitense e un italiano. No, non è una barzelletta, sono le nazionalità dei miei compagni del corso di Tedesco B1 plus. M olte volte torno a casa frustrato, soprattutto quando sembro l’ unico a non capire cosa stia succedendo in classe, mentre tutti gli altri sembrano perfettamente a loro agio.
La quantità di informazioni che ricevo (in Tedesco!) mi fa sentire come uno con un bicchiere in mano che, mentre aspetta che gli versino da bere, prende una secchiata d’ acqua che lo sposta di peso e che appena si riha dallo shock e cerca di bere quell po’ d’acqua che c’è nel bicchiere, viene travolto da una seconda secchiata. Lo so’, può sembrare esagerato, ma vi assicuro che sono più le informazioni che uno sente di perdere rispetto a quelle che si riescono a trattenere, che l’immagine che ho descritto non è poi così lontana dalla realtà. Uno degli obiettivi del corso, infatti, è quello di riuscire a dare un vocabolario di circa trecento parole agli studenti di un corso di questo livello e perché questo accada, è necessario usare una quantità di vocaboli dieci volte superiore. Poi c’è la meravigliosa grammatica tedesca(in Tedesco!) per cui è prevista una professoressa apposita, diversa da quella di lingua “normale”, ma di questo preferisco non parlare per evitare di scadere in vilipendii vari.
Ci sono anche giorni in cui le lezioni sono piacevoli e divertenti, a volte addiruttura magiche: l’ultima volta non riuscivo a credere che insieme ad un cinese e a un turco, ognuno con il proprio vocabolario, fossimo riusciti a metterci d’ accordo sul significato di un testo da riassumere in dieci parole chiave da dire alla classe che, incredibilmente, è riuscita a capire e a ricostruire la storia di partenza. Due cose mi hanno colpito molto: 1.Per imparare una lingua nuova bisogna imparare a rispondere continuamente a domande, quali: come ti chiami, da dove vieni, quanti anni hai, che lavoro fai, e a farlo con parole nuove, accettando di avere una nuova identità, di emigrante in un Paese straniero;
2.La scuola dà lo stesso imprinting a tutti, dovunque: mettete dei banchi e una cattedra in una classe e vedrete che gli atteggiamenti di persone di diverse età, razza e nazionalità, saranno simili a quelli dei ragazzi delle medie di un qualsiasi paesino di provincia.

martedì 19 giugno 2012

RAZZISMO CULINARIO

Ogni settimana, da due anni a questa parte, ho l’abitudine di fare una passeggiata al mercato turco di Kreuzberg che si tiene il Martedì e il Venerdì sulla Maybachufer, due chilometri più a ovest sullo stesso lato del canale sul quale abito.Ci vado anche se non ho bisogno di comprare niente di particolare: mi piace camminare fra la gente che guarda, assaggia e compra frutta e verdura, carne e pesce o altri prodotti più o meno esotici in questa specie di bazaar a cielo aperto dove si mischiano voci, veli, colori e odori mediorientali nel bel mezzo della capitale tedesca.L’immigrazione turca a Berlino è iniziata cinquanta anni fa in seguito ad un accordo politico/economico fra la Turchia e la Germania con l’ obiettivo di portare 900 mila operai turchi nei cantieri tedeschi che poi, invece di tornarsene in Turchia come previsto, hanno finito col dare vita ad un fenomeno migratorio che oggi fa della Germania lo stato d’ Europa con la più grande comunità turca (fuori dalla Turchia) e la religione musulmana la seconda del Paese: si stimano, legalmente residenti in Germania, 2,7 milioni di abitanti turchi di cui 125 mila nella sola Berlino.Neukölln, il quartiere dove vivo, e Kreuzberg, con rispettivamente 27 mila e 23 mila abitanti, sono i quartieri turchi per eccellenza.In una realtà così particolare, a 300 metri da casa mia, c’è un macellaio tedesco che ha fatto una scelta di marketing piuttosto coraggiosa: ha deciso di mettere sull’ insegna del negozio, uno a destra e uno a sinistra della scritta “Fleischerei” (Macelleria), due bei maialini rosa e di vendere prevalentemente maiale.E’ cosa nota che i musulmani (come gli ebrei) non mangino maiale, così come è noto che in Germania il maiale, in tutte le sue forme, è il piatto nazionale, quasi sacro!Fra i piatti tipici della cucina berlinese uno dei più famosi è l’ Eisbein (lo stinco di maiale) che la macelleria di cui sopra serve ogni Giovedì, con crauti e patate, a 6€. Il risultato di questa scelta è che i tedeschi residenti a Neukölln e gli operai che si trovano a lavorare in zona fanno la fila per mangiare uno dei loro piatti preferiti a buon prezzo, mentre i turchi si tengono ben alla larga da un posto che impuzzolentisce la strada di maiale lesso. Che in Europa, da qualche anno, soffi un vento di destra nazionale è abbastanza evidente, ma che si arrivi a fare anche del “razzismo culinario” è piuttosto preoccupante.

lunedì 11 giugno 2012

LA TANGENTE PER MELAMPO

Melampo era un cane da guardia in “Le avventure di Pinocchio”. Alcune faine avevano comprato il suo silenzio con “una gallina bell’e pelata” ad ogni visita che andavano a fare al pollaio. Una notte Pinocchio,sorpreso a rubare l’uva nel campo, fu messo a catena al posto del povero Melampo morto da poco, ma riuscì a riscattare la sua libertà fingendo di accettare la tangente dalle faine, che invece furono denunciate appena entrate nel pollaio.
La prima volta che mi sono trovato di fronte al sistema delle tangenti, alla consuetudine del dover “pagare per lavorare”, mi sono
stupito di quanto questa fosse radicata nella mentalità delle persone comuni, nelle piccole cose, nella normale vita e di tutti i giorni:
avevo appena messo piede in teatro (1999), come tecnico di uno spettacolo di danza. Inesperto e incantato, ignaro dei meccanismi
dell’ambiente, vengo subito “iniziato”. Un responsabile tecnico del Metastasio mi propone, privatamente, di costruire dei mobili da esposizione per degli stabilimenti termali di proprietà dell’ArtHotel: io dovevo fare il progetto e la costruzione, lui le luci e una persona di sua fiducia all’interno dell’amministrazione, fare approvare il preventivo in cambio del 20% sull’affare. Come Pinocchio, fingo di accettare l’accordo, presento il preventivo(non gonfiato
della tangente), faccio il lavoro, riscuoto il compenso e non do una lira a nessuno dicendo di non essere d’ accordo con quel sistema. Per questa mia “scorrettezza” sono stato rimproverato e avvertito del
fatto che “se vuoi lavorare, a Prato funziona così, il sistema è questo”. Se dopo tre stagioni da tecnico al Metastasio ho preferito le tournèe da freelancer era per la voglia di fare esperienza e per la
mia incapacità di convivere con una mentalità mafiosa e clientelare,di accettare loschi affari con viscidi personaggi. Se oggi qualcuno si gode il lusso della pensione, qualcuno ha fatto carriera, qualcuno è rientrato dalla finestra e qualcun altro è vice presidente nel CdA del Metastasio mentre è presidente del Politeama, è perché “a Prato funziona così, il sistema è questo”, nonostante gli sforzi di quei pochi -grandi- onesti che continuano a fare bene il loro lavoro e che tentano eroicamente di cambiare le cose. A distanza di anni mi scopro pentito di non aver denunciato “le faine” per tempo come ha fatto Pinocchio, ma contento di non aver mai accettato “di reggere il sacco
alla gente disonesta”.

lunedì 4 giugno 2012

LA COLLINA DEL DIAVOLO



Per la Chiesa Protestante l’ascensione di Gesù (Himmelfahrt) si festeggia quaranta giorni dopo la Pasqua ed è considerata festa nazionale. I tedeschi la celebrano riunita alla festa del papà. E’ tradizione, infatti, che gruppi di soli uomini, di età variabile, si riuniscano per fare gite fuori porta, trascinandosi dietro carretti di legno pieni di birre e musica ad alto volume. Questa miscela li rende inevitabilmente ubriachi, rumorosi e, qualche volta, anche molesti.

Con alcuni amici (uomini e donne!), in occasione della festività, abbiamo improvvisato una gita in collina, a Taufelsberg che, con i suoi 114 metri sul livello del mare è uno dei punti più alti di Berlino. E’ un posto estremamente affascinante, ad ovest (geografico ed ideologico) della città, da dove si gode una bellissima vista, completamente immerso nel verde, la cui altezza, però, non è dovuta alla naturale orografia del luogo, ma ai resti dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra, infatti, le macerie di Berlino sono state “stoccate” sotto forma di berg (collina/monte) che oggi, ricoperte di terra e di verde, sono luoghi di interesse turistico, oltre ad aver dato i nomi a famosi quartieri come Kreuzberg o Prenzlauer Berg. Ma la “Collina del diavolo” (Teufelberg) ha un’ altra interessante caratteristica: per alcuni decenni, durante il periodo del muro, è servita come stazione d’ ascolto agli alleati per spiare la DDR. Ho sempre pensato che certe cose fossero solo fantasie, invenzioni di alcuni sceneggiatori di film di spionaggio, ma invece i resti delle torri e dei radar in cima a Teufelberg dicono il contrario: ci sono quattro torri di diverse altezze con in cima dei radar bianchi a forma di palla, simili a quelli che ci sono sopra alle torri di controllo degli aeroporti. Questi radar servivano da enormi padiglioni auricolari, a catturare dall’ alto della collina buona parte delle comunicazioni radio, militari e civili, della Germania dell’ est, che venivano trasferite, registrate e ascoltate pochi piani più in basso, negli uffici di questa singolare stazione di 007. Oggi, quel che resta di questa stazione, completamente abbandonata e fatiscente, è meta di curiosi che, come me, amano ficcare il naso nei resti di un mondo che fino poco più di vent' anni fa si spiava e si sfidava da una parte all’ altra del muro.
E io che pensavo che certe cose le facesse, da vero ganzo, soltanto Bond, James Bond.

lunedì 21 maggio 2012

SE SI PUO' SI DEVE!

Quando l’ho visto non ci volevo credere e mi sono chiesto se avevo un’ allucinazione. Poi mi sono allontanato un po’, per guardare meglio e, no, non era un’ allucinazione: quello parcheggiato sul balcone di un palazzo, era proprio un SUV! Una cosa del genere, già surreale di per sé, diventa ancora più assurda se succede in una città come Berlino, che ha i suoi momenti di traffico nelle ore di punta, ma non di parcheggio, almeno non così seri. Ho osservato quell’ immagine per un po’, per capire come sia tecnicamente possibile parcheggiare una macchina su un balcone, e quale sia, se c’è, il processo razionale che spinge un essere umano a mettere la propria auto, praticamente, dentro casa. Passi che un architetto e un ingegnere hanno disegnato, progettato e fatto costruire un edificio del genere, ma davvero la possibilità che ci danno di “fare qualcosa” può diventare un valido motivo “per farlo” al punto di mettere un SUV accanto al letto come fosse la culla di un bimbo? Tempo fa scherzavamo con Alessio (che vive a Praga) sulle reazioni che hanno i nostri amici quando scoprono che fuori dall’ Italia, nei locali pubblici, si può ancora fumare. Insieme alla prima sigaretta gli si accende uno spirito di rivalsa e iniziano a fumare quante più sigarette è possibile, perché: “Se si può, allora ne fumo un’ altra”. Ho riassunto la cosa nel motto: “Se si può, si deve!”. Ma con le sigarette è difficile fare paragoni, perché la nicotina è una droga e per dipendenza, assuefazione e alterazione della percezione è fra le più pesanti. Allora ho provato a vedere se il principio vale applicato ad altro: sui danni che provoca la telefonia mobile, purtroppo, dovremo aspettare ancora una ventina d’anni, quello che già si sa non ci basta, nonostante ci siano già dati allarmanti e luoghi dove il divieto di usare il cellulare è tassativo (ad es. sugli aeroplani), così come è proibito telefonare mentre si guida se non si usa l’auricolare. Basterebbe il buonsenso a farci ammettere che è la conversazione al telefono che ci porta ad avere atteggiamenti pericolosi e non la mano impegnata, visto che quando guidiamo possiamo mangiare, bere, fumare senza problemi e che al telefono siamo pericolosi anche a piedi. Ma visto che con l’auricolare si può...Allora delle due, l’una: o il “Se si può, si deve!” è vero ed è sufficiente a farci azzerare il buonsenso, oppure bisogna iscrivere nel libro delle droghe anche l’auto e il cellulare.

lunedì 14 maggio 2012

LE CACCHE DEI PADRONI


Non avevo mai visto cani così educati prima d’ora. In Italia ero rimasto stupito da come alcuni amici fossero riusciti a farsi ubbidire dal proprio cane anche solo a gesti, ma erano delle eccezioni. Qui a Berlino, invece, sembra essere normale. Ci sono tantissimi cani, ovunque, e la maggior parte di loro sembrano usciti da scuole dove gli hanno insegnato a non abbaiare e a non litigare con gli altri cani mentre aspettano, seduti o sdraiati, fuori da quei negozi dove “loro non possono entrare”, che torni il padrone per riprendere la passeggiata. Nei ristoranti e nei bar dove sono ammessi, invece, entrano e scompaiono silenziosi sotto il tavolo e, cosa più incredibile, non elemosinano cibo né al padrone né ai vicini. Vanno a passeggio trotterellando di fianco alle bici, con o senza guinzaglio, si fermano sul ciglio della strada e, anche se il padrone ha già attraversato, aspettano seduti il comando per poterlo fare. La cosa più incredibile che ho visto è stato un cane che ha resistito all’ istinto di correre dietro alla palla: era stato portato nel parco per correre e giocare, ma quando ha sentito “sitz”, si è seduto ed è rimasto fermo anche dopo che la sua palla ha iniziato a rimbalzare lontano. Le zampe posteriori scalpitavano e scavavano il terreno dalla voglia che avevano di correre, ma è partito soltanto dopo il comando convenuto! Non so se bisogna essere più bravi o più tedeschi per insegnare ad un cane a reprimere un istinto così primordiale, fatto sta che ci riescono. E’ davanti all’istinto della cacca che anche i cani berlinesi diventano normali: quando scappa, scappa. C’è poco da essere educati!
Quello che stupisce, però, è che alla capacità che hanno di educare i propri cani, i tedeschi contrappongono la totale assenza di volontà di raccogliere e buttare le cacche che i loro educatissimi amici fanno nelle compostissime passeggiate. E, infatti, questa città è indecentemente condita, decorata e farcita dalla cacca dei cani.

Qualche giorno fa ho provato a farmi ubbidire dal cane di un amico, ma al mio “sitz und platz” ha risposto con un’alzata di ciglio e ha continuato a camminare ed annusare la strada che aveva davanti: ha sentito benissimo che chi gli dava i comandi era poco credibile e poco tedesco, anche perché, qualche secondo prima, avevo raccolto e buttato nel cestino la sua cacca sotto gli occhi increduli del padrone.

mercoledì 25 aprile 2012

ALL' OMBRA DEL MURO

Sarà che a passarci davanti tutti i giorni ai resti del Muro uno diventa più sensibile all’argomento, ma tutte le volte che lo sento nominare, il Muro, la cosa mi tocca come mai prima d’ora. Ho letto con dispiacere gli articoli sulla sentenza d’appello del tribunale di Brescia che ha assolto (anche se non con formula piena) gli imputati della strage di Piazza della Loggia. Sulla prima pagina de “Il Fatto quotidiano” del 15 Aprile, G. Barbacetto, riferendosi a tutto il periodo stragista italiano, parla proprio di “stragi che di quel Muro sono figlie”. Ed è proprio per questa mia nuova (iper)sensibilità al tema che mi sono ricordato di un’ altra volta in cui qualcuno associava le stragi del “periodo della tensione” al muro di Berlino: era uno dei Servizi Segreti italiani, a suo dire “un servitore dello Stato che, per ragioni di servizio, si misura col male”. Commentando le immagini in TV, del ritrovamento del corpo di Moro, diceva ad un suo collaboratore che “c’è un muro in Europa che separa due civiltà: la nostra, quella della libertà, da quella del comunismo. Finché a Berlino esisterà quel muro, a Roma tutto deve rimanere com’è. Questa è la regola. Il presidente Moro stava cercando di cambiarla. Ci sono momenti in cui allo Stato il caos serve. Certo, va diretto, organizzato, incanalato ed è un lavoro che a volte fa orrore. Ma la società non ha bisogno soltanto di ingegneri, medici o artisti. Ha bisogno anche di carcerieri. Dei boia”. Due anni dopo, gli stessi “servitori dello Stato” si serviranno dell’ aiuto della Banda della Magliana, sospettata di aver partecipato, più o meno direttamente, alla strage di Bologna. Ed è proprio quando si accorge che “il muro di Berlino presenta crepe sempre più evidenti, e molto presto verrà giù, trascinando sotto le sue macerie la classe politica di 50 anni” che il misterioso personaggio rassegna le dimissioni: “Nel tempo che verrà non ci sarà bisogno di gente come me, perché non ci sarà più nessuna democrazia da salvare, ma solo interessi privati, lotte per più potere e più denaro. Gli uomini che si salveranno dal diluvio sono persone spesso ignobili, anime nere, capitani di ventura. Eppure, come già altre volte nella storia, saranno loro a governare il caos”. Sono parole di un personaggio di “Romanzo criminale”, film che si è liberamente ispirato a vicende giudiziarie avvenute in Italia dal ’77 al ’92, oltre che all’ omonimo romanzo.


sabato 14 aprile 2012

WELFARE ALLA TEDESCA


Due settimane fa, una troupe di giornalisti di LA7 è venuta a Berlino per girare un servizio sul Welfare tedesco, andato in onda Giovedì 29 Marzo nella trasmissione “Piazzapulita”, di Corrado Formigli. A loro favore va detto che, per raccontare la Germania, un’ altra troupe è andata a vedere come funzionano le cose a Monaco, perché come vi ho già raccontato più volte, ciò che è vero e possibile a Berlino non sempre vale per il resto del Paese e viceversa.
Dovevo far parte del gruppo di italiani che gli inviati di LA7 hanno intervistato, ma poi ho preferito non partecipare alla “chiacchierata” e stare a sentire quello che gli altri avevano da dire e cosa i giornalisti italiani volessero sapere. Sibilla, Jacopo, Augusto e Celine si sono raccontati per una quarantina di minuti al microfono di Francesca Biagiotti, anche se poi, delle loro parole, sono stati montati soltanto tre minuti all’interno di un servizio dal quale sono emerse: migliore qualità della vita, buone possibilità di lavoro, prezzi di affitto e di vendita delle case molto ragionevoli, ottimi ammortizzatori sociali e tutti i vantaggi economici che hanno le giovani coppie che decidono di fare figli in Germania. Il tutto è stato commentato e confrontato in studio con la situazione italiana alla luce delle riforme attuate del Governo Monti, in vista della modifica dell’ Art. 18 dello statuto dei lavoratori.
Dopo aver guardato la trasmissione, sia per i contenuti, sia per i commenti musicali dei servizi, mi sono ritrovato un mattone sullo stomaco fatto di ansia e rabbia.
Non è mai facile né semplice (né tanto meno io ho le competenze per) confrontare due sistemi economici, due società, due culture, due Paesi così diversi tra loro soprattutto nel momento in cui uno è alla guida dell’economia e delle scelte politiche europee e l’ altro, per dirla col Poeta, è “come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’ acqua perigliosa e guata, […] che non lasciò già mai persona viva.” (Inferno, Canto I, vv 22-25). L’unica cosa che mi sento di dire, per amor del vero e per la gioia di Benedetta, un’ amica che mi accusa “di far sembrare che fuori dall'Italia sia sempre e chiaramente meglio che in Italia”, è che se si parla di Welfare di uno stato non si può non parlare di uno dei capisaldi dello Stato sociale, cioè dell’ assistenza sanitaria, che in Germania è privata e costa cara. Molto cara.


sabato 7 aprile 2012

PEDALARE A DIRITTO


Un articolo di Fabio Ciconte, su IlFattoquotidiano.it dello scorso 26 Marzo, ha finito col confermare i miei sospetti sul fatto che, se in Italia ci sono così tante macchine e l’ abitudine di andarci a prendere il caffè anche al bar dietro casa, non dipende solo da un cattivo costume degli italiani, ma piuttosto da una politica ben precisa che ne crea il bisogno e non offre alternative reali. E a poco servono le legittime proteste e le iniziative Salvaciclisti se non invadono il tessuto sociale, oltre alle strade. “In Italia ogni giorno circolano 36.4 milioni di veicoli (in Cina sono molto di meno) che percorrono una media di 13mila Km all’anno, il 26% in più della media europea. Con questi numeri il nostro Bel Paese detiene il primato mondiale di auto private pro-capite” (Ministero dello Sviluppo Economico).
Ieri mattina sono passato davanti ad un parco, qui a Berlino, che avevo già notato, ma che non avevo ben capito cosa fosse: è una miniatura di un pezzo di città (ca 10 kmq) con strade, semafori, rotonde e, naturalmente, piste ciclabili. E’ uno spazio del quartiere (Kreuzberg), dove le scuole, a turno, mandano le classi delle elementari a fare scuola guida in bicicletta. I bambini imparano a stare sulla strada, a riconoscere le precedenze, ad usare le rotonde in sella alle bici messe a loro disposizione dalla struttura. Ieri, oltre ai bambini, ci ho trovato anche due poliziotti, che correggevano e perfezionavano i loro comportamenti. Alla fine di un ciclo di lezioni teorico/pratiche, dopo un esame, agli studenti viene rilasciato un attestato, una sorta di “patentino del bravo ciclista”. E anche il fatto che i genitori vadano a portare e a riprendere i propri figli a scuola in bici e che spesso facciano usare loro, fin da piccolissimi, biciclette di legno senza pedali, contribuisce non poco alla formazione di una cultura e di un altro tipo viabilità. E’ proprio questo lavoro in parallelo, dall’alto (Piste ciclabili, trasporto integrato) e dal basso (scuola, famiglia) che crea generazioni civicamente educate e che fa della bici il mezzo di locomozione per eccellenza e non uno svago per le passeggiate della domenica. I cittadini così educati, avranno rispetto dei ciclisti anche quando si troveranno alla guida di un’ auto, e difficilmente percepiranno come un fastidioso intralcio al traffico quei poveracci che pedalano e rischiano la vita, fra camion e bus, perché senza soldi per il SUV.

giovedì 29 marzo 2012

PERSONE RISPETTABILI


Approfitto di questa rubrica per far sapere ai miei genitori che ieri mi hanno scambiato per una persona rispettabile nonostante i capelli lunghi e la folta barba.
La scorsa settimana ho ricevuto una serie di lettere dalla Berliner Sparkasse, la mia banca, che per avvisarmi sulle nuove norme per le transazioni bancarie e invitarmi all’attivazione dei TAN (Transaction Authentication Number) via sms, mi ha sommerso di fogli in Tedesco burocratese, pieni di PIN e altri codici di sicurezza.
Colto da sgomento davanti a parole incomprensibili e impronunciabili quali “Lastschriftrückgabe” o “Vertragsdatenänderung” sono corso a chiedere aiuto nella filiale dove ho aperto il conto. L’impiegato che mi ha soccorso era un ragazzo sui trent’anni, gay, in giacca e pantaloni neri e con una barba molto curata. Sulla targhetta appuntata sulla giacca c’era scritto: Ugur Toklar. Mentre ero di fianco a lui per digitare al computer i miei nuovi user name e password, mi è venuta incontro una signora con un libretto in mano che ha iniziato a chiedere informazioni e ad aspettare risposte da me sul da farsi. Ugur l’ha fermata e, gentilmente,  le ha chiesto di aspettare il proprio turno. Solo allora ho capito che mi aveva scambiato per un impiegato della banca nonostante il mio abbigliamento casual e il mio aspetto da capellone barbuto. L’errore della signora ha una spiegazione: la tendenza a Berlino è quella di evitare ogni forma di discriminazione, sessuale  o di razza, religiosa o estetica o per la visione che uno ha del mondo. E’ molto facile, infatti, trovare persone dal look curioso o non  proprio “conforme”, che fanno lavori per i quali, normalmente, in Italia come nel resto della Germania, è richiesto un certo aspetto, un certo tipo di cura, soprattutto per quelle professioni per cui è prevista una divisa. Succede spesso di vedere alla guida di autobus e metro persone con creste colorate o acconciature bizzarre, così come  è facile vedere poliziotti con piercing  e tatuaggi in volto. Questa possibilità ha dato vita a fenomeni che più di una volta mi hanno sorpreso. Fra i tanti, due in particolare: un conducente della metropolitana al quale la BVG (la CAP di Berlino) ha dato una divisa da donna da indossare nelle ore di servizio e un prete protestante, a cena al ristorante con il compagno e la suocera. Tutte queste persone, alla stessa maniera, a Berlino, sono considerate persone rispettabili.


giovedì 22 marzo 2012

BERLIN UNDERGROUND


C’ erano almeno trecento persone sabato scorso nello scantinato di un bar, il “Fuchs und Elster”, in uno spazio di circa 250 mq in cui si accede scendendo una scala che in Italia e nel resto della Germania non farebbero usare nemmeno per un pollaio. Eravamo tutti lì per sentire (e per ballare) il concerto dei Knoblauch Klezmer Band: violino, fisarmonica, clarinetto, contrabbasso e cajon che per due ore, con brani Klezmer e Gypsy, hanno fatto scatenare corpi e ghiandole sudoripare.
Stranamente (e per fortuna) questo è uno dei rari non smoking club di Berlino, ma per il resto è un bar come ce ne sono tanti: niente servizio ai tavoli, poltrone, divanetti e tavolini bassi, candele, muri volutamente “scrostati” e impianto elettrico con cavi volanti tenuti insieme da un po’ di nastro isolante, in barba alle più elementari norme CEE sulla sicurezza. E come in centinaia di altri locali, anche al “Fuchs und Elster” per la programmazione musicale, DJ set o live che sia, nel fine settimana, si aprono le cantine, ma non quelle per la degustazione del vino, ma letteralmente gli scantinati. Tutte le volte che mi trovo in uno di questi posti, spesso privi di uscite di sicurezza, vengo colto prima da un po’ di sano panico, che mi porta a cercare un posto nello spazio dove ci sia una possibile via di fuga, poi a dirmi come sia possibile che ciò che vedo stia accadendo nel 2012 nella capitale del Paese che detta la politica economica al resto d’Europa e, infine, a chiedermi: ma allora chi è che ha ragione?
Ho ascoltato il concerto in un angolo del locale, di fianco al palco, davanti ad una porta allarmata che dava accesso ai camerini. Il posto era veramente sovraffollato, pieno di ragazze e ragazzi, uomini e donne, alcune incinta e, nonostante il caldo e l’umidità tropicale che c’era nell’aria, tutti continuavano a saltare e sudare allegramente. Io ballavo sul posto, in modo contenuto, per non sudare troppo e per non perdere di vista la situazione. Ed è proprio a forza di guardare gli altri che ballano spensierati, che sudano e ridono, che fanno la fila per il bagno o per prendere un’ altra bevuta che incomincio a rilassarmi anch’io e a non pensare più, almeno non in modo paranoico, al fatto che in qualsiasi altro posto d’Europa quella situazione sarebbe oggettivamente pericolosa oltre che illegale. Ma non qui a Berlino. Almeno così sembra e non ho ancora capito perché. 

martedì 13 marzo 2012

IL CERCHIO CHIUSO


Marie è venuta a vivere a Berlino nel 2008. Dice di sentirsi a suo agio qui, perchè sente di aver chiuso un cerchio. E’ nata e cresciuta a Monaco dove ha studiato fino a 20 anni. Poi, come la maggior parte dei ragazzi tedeschi, finita la scuola è partita per un viaggio: un anno in Australia, poi in Grecia e per 4 anni a Londra dove si è laureata alla “Fine Arts and New Media Accademy”.
Il cerchio che dice di aver chiuso venendo a vivere a Berlino riguarda la storia della sua famiglia, la famiglia Donat. Originari di Dresda (una delle città delle DDR), da non simpatizzanti del regime socialista, i nonni Donat non hanno mandato nelle scuole “consigliate” i propri figli. Questo darà non pochi problemi a papà Donat nella vita e nel lavoro: non essendo cresciuto “in linea” col sistema non ebbe possibilità di carriera - un po’ come accadeva nell’ Italia del dopoguerra a chi non era iscritto alla DC! - e dopo essere stato rifiutato per due volte all’università perseguì la sua passione per il teatro organizzando seminari e spettacoli, ma la satira che veniva fatta nei work shop di cabaret non era vista di buon occhio dai politici della città. Fu per questo che, insieme alla madre di Marie, decisero di lasciare la Germania dell’ est e di trasferirsi a Monaco: tentare la fuga ad “Ovest”, però, con due bimbe piccole (le sorelle di Marie) era troppo rischioso. Fu grazie ad un ammorbidimento dei rapporti tra i due blocchi contrapposti (Accordi di Helsinki,1975) che a molte persone fu concesso di lasciare la DDR con carte e documenti alla mano, soprattutto a quei soggetti che, come il padre, screditavano il regime, ma non potevano di fatto essere arrestati. Nel 1976 i coniugi Donat fecero la richiesta di trasferimento e nel 1978 riuscirono ad ottenere il permesso ufficiale per lasciare Dresda. La famiglia riuscì a stabilirsi a Monaco nel ’79. L’anno dopo nascerà Marie, che ora vive nella capitale tedesca, in una via dove, non molto tempo fa, sorgeva il muro e dove ancora si respira molto di quell’ “Est” che non c’è più. Tutto questo, infatti, me lo ha raccontato dopo che ha salutato Bernd, un uomo sulla 50ina, molto inserito nel sistema al tempo della DDR (probabilmente impiegato nella Stasi) che oggi, invece, è uno dei tanti alcolisti che non hanno retto lo shock di aver visto crollare nel giro di poche settimane, insieme al muro, il credo, i princìpi, i sogni, di quello che per molti era un mondo ideale.           

domenica 4 marzo 2012

C' E' SEMPRE UNA PRIMA VOLTA


A differenza di qualche sedicente galantuomo io posso dire, senza mentire, di non aver mai pagato una donna in cambio di “favori” sessuali. Ci tengo a precisare che non ho niente in contrario con chi sceglie di vivere del mestiere più antico del mondo, uomo o donna che sia, purchè la sua scelta sia dettata dal libero arbitrio e non da ricatti, soprusi o altre ingiustizie. Premesso questo, vengo al punto: lo scorso Venerdì sera, mentre passeggiavamo per il Mitte (il centro) di Berlino, Lasien (un amico Albano/Italiano) ed io, siamo stati letteralmente messi spalle al muro da Joyce e Francy, due ragazze berlinesi che di lavoro fanno “il mestiere”. E lo fanno sul marciapiede di una zona elegante della città, molto transitata, specialmente nel fine settimana, attirando l’attenzione dei passanti come ogni bravo ambulante deve saper fare. Per togliermi da quella pressante situazione ho usato uno stratagemma e ho chiesto loro se potevo offrire da bere: com’ era prevedibile hanno accettato senza, però, abbandonare il posto di lavoro. Quando sono tornato con i loro “energy drinks” (Vodka+Redbull) abbiamo scambiato due parole e, fra le varie cose, mi hanno detto che: la loro tariffa è di 80€ a prestazione, che pagano regolarmente le tasse e che per fare “il mestiere” devono denunciare l’attività e sottoporsi a controlli sanitari obbligatori, visto che la prostituzione in Germania, come in altri Paesi d’ Europa, è legale e regolamentata. Joyce e Francy, infatti, sul marciapiede ci stanno solo per fare “vetrina” e i clienti che vogliono comprare i “loro prodotti”, le devono seguire a casa. La situazione in Europa, anche su questa questione, è piuttosto controversa e articolata, ma secondo wikipedia, ci sono tre modelli a cui i Paesi europei fanno riferimento: 1.quello proibizionista,dove la prostituzione è illegale e punita(ad es. in Albania); 2.quello abolizionista,dove la prostituzione non è proibita, ma neanche regolamentata (ad es. in Italia); 3.quello regolamentarista(ad es. in Germania).
Non era la prima volta che parlavo con una prostituta, ma dal tono e dalla tranquillità dello scambio mi sono accorto che c’era qualcosa di diverso: era la prima volta che ci parlavo faccia a faccia, da persona a persona, e non squallidamente dal finestrino di una macchina nel goliardico “puttan-tour” che a volte mi è capitato di fare con gli amici tra Sesto e Calenzano.
Ecco, è stata questa la mia “prima volta”.

mercoledì 29 febbraio 2012

TUTTO IL MONDO E' PAESE


Un paio di cose successe di recente, qui a Berlino, anche se molto diverse fra loro, mi hanno portato a dire, fra me e me, che infondo tutto il mondo è paese.
Mi riferisco, nello specifico, allo sciopero dei dipendenti della BVG (la ditta dei trasporti pubblici di Berlino) e allo scandalo che ha travolto il presidente della Repubblica Tedesca.
Il primo lo hanno chiamato “sciopero d’avvertimento” (Warnstreik), dato che
i sindacati della BVG (la ditta che gestisce una parte delle linee metropolitane (U-Bahn), tram e bus di Berlino) hanno indetto uno sciopero, dalle 04.00 alle 19.00 di Sabato 18 Febbraio, per mettere in guardia i vertici della società di trasporti, in vista delle trattative fissate per lo scorso 20 Febbraio, nelle quali continuare a chiedere un equo adeguamento degli stipendi all’aumento dell’inflazione.
Christian Wullf, ormai ex Presidente della Repubblica Tedesca, indagato a fine 2011 per aver ricevuto vantaggi personali (finanziamenti a tassi di favore da alcuni imprenditori e vacanze pagate da altri) ottenuti grazie alla sua carica pubblica, ha dovuto rassegnare le dimissioni dopo che la stampa tedesca lo ha pesantemente attaccato per le minacce ai danni del direttore di “Bild”, il giornale tedesco venuto in possesso dello scoop, che non si è lasciato intimidire e che ha reso pubbliche le notizie e le minacce di Wullf.
E allora, guardando meglio come i tedeschi stanno gestendo queste due “patate bollenti”, mi sono dovuto ricredere sul fatto che tutto il mondo è paese. Infatti, non solo Wullf si è dimesso dalla carica di Presidente della Repubblica, ma il Parlamento tedesco ha sospeso la sua immunità per farlo processare. E per le loro giuste rivendicazioni, i dipendenti della BVG, hanno fatto questo “sciopero d’avvertimento” di Sabato, per far capire chiaramente ai vertici della società quali siano le loro intenzioni cercando di non penalizzare troppo i cittadini.
Si perché, se lo stesso sciopero venisse indetto per uno o più giorni durante la settimana, i disagi per chi viaggia, e i danni economici per la BVG, sarebbero ben altri, se si considera che mediamente, solo sulla U-Bahn (Tram e Bus esclusi), viaggiano ogni giorno circa 1 milione e mezzo di persone.
E quindi, rileggendo i fatti sotto questa luce, devo proprio ammettere che non tutto il mondo è paese e che per certi aspetti, in questo Paese è tutto un altro mondo.

sabato 18 febbraio 2012

UN ANNO DI "FILO DIRETTO"


Era in occasione della Berlinale dello scorso anno che, per la prima volta, è stato teso questo “filo diretto” tra Berlino e Prato.
Anche quest’ anno, dal 09 al 19 Febbraio, qui nella capitale tedesca sta per concludersi la 62esima edizione del Festival internazionale del cinema.
Tre sono i film italiani: l’unico in concorso è“Cesare deve morire”, dei fratelli Taviani, mentre, nella sezione Panorama Special c’è “Diaz” documentario di Daniele Vicari, sui fatti, non ancora del tutto chiariti, avvenuti nell’omonima scuola durante il G8 di Genova e, sempre sullo stesso tema, nella sezione Panorama, "The Summit", un altro documentario di Fracassi e Lauria.
Come vi dicevo qualche settimana fa, cerco di sapere il meno possibile dei film che vado a vedere e
quelle poche cose che mi erano, inevitabilmente, arrivate alle orecchie sull’ ultimo lavoro di Paolo e Vittorio Taviani, non promettevano niente di buono: si vociferava di un “film lento e noioso” . Anche leggendo i nomi degli attori mi ero detto “ o bene, bene o male, male”, visto che non ne conoscevo neanche uno. Poi, Christiane, la signora a cui do lezioni di Italiano, mi ha invitato ad andare alla prima di questo film, interamente girato nelle celle, nei corridoi e nei cortili del carcere di Rebibbia con i detenuti/attori nei panni di loro stessi che provano e mettono in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare a cui il film è stato liberamente ispirato.
Il pubblico in sala ha accolto con un bell’ applauso i registi toscani già prima della proiezione e con uno più lungo e sentito li ha accompagnati sul palco alla fine del film, smentendo, di fatto, le critiche degli addetti ai lavori.
“Da quando ho scoperto l’ Arte, questa cella è diventata una prigione”. Questa frase segna uno dei momenti più commoventi del film; la dice Cosimo Rega che, dopo il momento di gloria da attore, spogliatosi dei panni di Cassio, viene riaccompagnato e chiuso in cella da un secondino. Soprattutto in quel momento si percepisce quanto sia stata indovinata la scelta del bianco e nero per raccontare la fredda realtà del carcere, e del colore usato solo per riprendere i momenti di teatro. I miei complimenti vanno a tutto il cast, ma in particolare ai fratelli Taviani, a cui non è mancato il coraggio di presentarsi alla Berlinale, nel 2012,  con un film sul “Giulio Cesare”, tutto girato all’interno di un carcere e senza neanche la presenza di una donna.

venerdì 10 febbraio 2012

IN TRANSLATION

Avrei voluto portare anche Nadia, una cara amica empolese in visita a Berlino, a fare il “Berlin free tour” di cui vi ho raccontato un po’ di tempo fa, ma viste le temperature siberiane (a Berlino stanotte si sono registrati -20°!) abbiamo optato per una bella visita ai musei e, dato che il Guggenheim Museum di Berlino il Lunedì è gratuitamente aperto al pubblico, abbiamo deciso di vedere la mostra “Found in Translation” in programma fino al 09.04.2012.
Appena entrati ci ha accolto Saskya, una ragazza berlinese che studia storia dell’arte e che per arrotondare senza fare la cameriera, il lunedì, fa la guida per il Guggenheim Museum di Berlino con indosso una T-shirt con il logo “I love Monday” per sottolineare l’iniziativa del museo.
Saskya è simpatica, spigliata, parla bene inglese (quasi senza accento tedesco) e in meno di un’ora ci ha portato a spasso per la mostra il cui titolo è un chiaro richiamo a “ Lost in translation” film del 2003 di Sophia Coppola. Mentre con la frase “lost in translation” si tende ad indicare tutto ciò che in una traduzione viene inevitabilmente a perdersi, “Found in traslation” è incentrata sul potere delle parole: le opere,infatti, che vanno dal fumetto al film, dalla fotografia al video, mettono in risalto le possibilità, in senso ampio, della traduzione.
I lavori che ai miei occhi sono riusciti di più in questo intento sono stati due: il primo è una video installazione dell’artista statunitense Matt Keegan,  intitolata <<“N” as in Nancy>>, che ritrae la madre, un’ insegnante d’inglese per stranieri, mentre pronuncia parole in inglese con sotto la traduzione in Spagnolo (in un monitor) mentre accanto (in un altro monitor) appaiono immagini, scelte dall’artista da giornali e riviste, che racchiudono lo stereotipo delle parole pronunciate con la chiara intenzione di mettere in risalto i molteplici significati che un’immagine racchiude in sé (ad es. la parola “spazio” associata all’immagine di un astronauta con la bandiera degli U.S.A); la seconda, anche questa una video installazione, è “Cathay”, l’ opera di Lisa Oppenheim che partendo da un’ antica storia cinese tradotta in Inglese ha finito col riprodurla attraverso immagini girate nella China Town di NYC.
Quindi, se capitate nella capitale tedesca con queste temperature, spero di avervi dato una buona dritta su come impegnare bene il tempo senza rischiare l´ assideramento.

domenica 5 febbraio 2012

Da cosa nasce cosa

Se da quasi un anno, ormai, ho questa rubrica su Metropoli come corrispondente da Berlino, è perché a Novembre 2010, ho risposto alle domande di Debora Pellegrinotti che mi ha intervistato dalle pagine dello stesso giornale.
Chiedo scusa se parlo di me, ma per raccontarvi cosa sta succedendo, devo farlo: nel 2008 ho finito di montare un documentario, “Un giorno in Europa" -nuove forme di emigrazione- e, visto che al tempo l’argomento era ancora di scarsa attualità, per un paio d’anni, mi sono improvvisato distributore di me stesso senza grandi successi.
Poi, all’improvviso, qualcosa è cambiato in Italia, l’argomento è diventato attualissimo su giornali e televisioni, la frase “fuga di cervelli” è diventata un tormentone noto a tutti e che ha spinto (fra i tanti) la giornalista Claudia Cucchiarato a scrivere il libro “Vivo altrove” e a dare vita (insieme a Sergio Nava, giornalista di “Radio 24ore”) al “Manifesto degli espatriati”.
Di lì a poco mi sono ritrovato intervistato dall’ASEI (Archivio Storico Emigrazione Italiana), pubblicato sul “Il Vernacoliere”, intervistato da “Metropoli” e invitato al Puccini di Firenze in occasione di una serata che aveva per titolo “La Toscana è un paese per giovani?” e alla quale cercavano di  dare risposte il rettore dell’università di Firenze Alberto Tesi e il governatore della Toscana Enrico Rossi.
Nello stesso periodo (Ottobre 2010) è iniziato il mio rapporto “e-pistol@re” con l’IIC (Istituto Italiano di Cultura) di Berlino che, dopo qualche difficoltà e una serie d’incontri preliminari, ha finito con l’inserire la proiezione del mio documentario all’interno del ciclo “ L’italiano nel villaggio globale”, che si terrà il prossimo Martedì, 7 Febbraio 2012, presso l’Istituto di cultura qui a Berlino.E sembra che la cosa inizi ad interessare anche gli altri IIC delle città in cui il documentario è stato girato.
Rileggendo come sono andate le cose, dal 2006 (inizio delle riprese) ad oggi, posso dire che:
essere stato in anticipo sui tempi, nel riconoscere che stava accadendo qualcosa di particolare in fatto di emigrazione nel nostro Paese, non ha giocato affatto a mio favore; il fatto che l’argomento sia diventato (e sia ancora) attuale, non fa ben sperare per le sorti dell’Italia e dei giovani italiani. Ho la sensazione che mi toccherà riprendere la telecamera e tornare dagli emigrati a vedere come stanno, dopo tutto questo tempo, nelle loro nuove vite.
Chissà che questa volta non sia il momento giusto.


martedì 31 gennaio 2012

PER SENTITO DIRE

Ci sono cose che s’imparano per esperienza diretta,altre per percorsi professionali o di studi,altre ancora “per sentito dire”: è il mio caso in fatto di club (discoteche) di Berlino.
Da quasi due anni,ormai,pur non essendoci mai stato,dai racconti di amici e conoscenti,conosco nomi e stranezze, fatti e leggende di molti club di Berlino. Ne ho sentito (e ne sento) così tanto parlare che,in alcuni,mi sembra di esserci già stato e,in altri,ho la sensazione di tornarci di tanto in tanto. Sono diventato,infatti,un “frequentatore abituale” del famoso Berghain.
E’ un club che si trova nel punto d’incontro di due quartieri,Kreuzberg e Friederichshain (da qui il nome Berghain),all’interno di una ex centrale elettrica alta 18 metri,che può contenere fino a 1500 persone, su tre piani, all’ultimo dei quali c’è l’altrettanto famoso Panorama-bar.
I due club sono nello stesso edificio,ma sono due ambienti distinti per tipologia di musica e di pubblico. All’ingresso si può essere respinti o ammessi in base a circostanze del tutto casuali: il biglietto costa 12€ e vale per tutto il fine settimana: alla porta,i buttafuori,perquisiscono borse e tasche per evitare che dentro possano essere introdotte armi,droghe e alcol.
Poi,una volta dentro,si trova di tutto,dalle droghe legali a quelle non,da quelle naturali alle sintetiche.
Sembra che al Berghain ci sia l’impianto Hi-Fi (indoor) più grande d’Europa e che sia stato progettato e realizzato da uno studio di ingegneria del suono che ha permesso di sfruttare al meglio la potenza dell’impianto senza danneggiare l’udito degli avventori che,all’ unanimità,sostengono di non avere quel fastidiosissimo fischio alle orecchie che si ha dopo essere stati a ballare nelle discoteche. I dj sono il vanto di questo club che, oltre ai propri,ospita dj di fama internazionale che attirano masse di devoti alla Techno da tutto il globo.
Un’altra delle cose che attira una certa tipologia di pubblico è la presenza, ad ogni piano, delle Dark Room: stanze dalla luce (poca)soffusa dove viene praticato sesso libero,promiscuo e,prevalentemente,omosessuale. La promiscuità si respira anche nei bagni che non hanno la classica separazione Uomo-Donna e nei quali c’è la totale assenza di specchi. Augusto,un altro pratese residente a Berlino,ha deciso di festeggiare il suo compleanno (il prossimo fine settimana) al Bergain:se non vado a fargli gli auguri mi toglie il saluto. E allora auguri a lui (e a me!).



domenica 22 gennaio 2012

ATTUALITA' D' ALTRI TEMPI #2


Non molto tempo fa, c’è stato un giovane avvocato che ha accettato di difendere un personaggio piuttosto scomodo e ambiguo, pur di affermarsi nel lavoro e nella vita.
E’ successo a Roma, quando un famoso e noto avvocato, patrocinatore in cassazione, non appena eletto deputato in parlamento, per non dare adito a critiche, ha spedito il neo assunto Avv. Gianni Perego di Pavia a “scaricare” uno scomodo cliente, un grezzo e potente imprenditore edile, sul quale pendevano svariate e pesanti accuse: corruzione di pubblici ufficiali, frode, costruzioni illecite, raggiro dell’altrui credulità, false licenze comunali, peculato, bancarotta fraudolenta, appropriazioni indebite, rimozione di segnali di pubblico pericolo e omicidio colposo per la morte di due operai nei suoi cantieri, per mancata applicazione delle norme di sicurezza.
Alla fine del lungo elenco, il giovane e moralmente integro avvocato ha detto chiaro e tondo all’imprenditore che, anche se “a uno come lei può sembrare incredibile, esistono sprovveduti che rifiutano di difenderla e che rinunciano al guadagno”.
Alla fine di un intenso e sentito discorso, l’imprenditore ha convinto il giovane avvocato a ripensarci, ad accettarlo come cliente e “di mettere la carta bollata” in cambio “della carta filigranata, per mandare in galera tutti, fino a che giustizia la trionferà”.
Nel giro di qualche anno, l' Avv. Gianni Perego di Pavia, è diventato l’uomo chiave dei i loschi affari dell’imprenditore, nonché suo genero.
Ma per diventare definitivamente amministratore unico degli affari dell’impresa “Romolo Catenacci”, il giovane rampante ha dovuto scontrarsi con la mentalità retrograda del rozzo e ormai anziano imprenditore, ancora legato ai meccanismi del vecchio potere: “ bisogna possedere e controllare i piani regolatori, non la ‘tera’-ha sbottato Perego in faccia al suocero- “qui siamo ancora alla bustarella all’ assessore, mentre invece la grande industria, quella vera, si fa sostenere dal potere politico. Lo vuol capire che bisogna cambiare sistemi, bisogna farsi quotare in borsa. Con le sue furbizie e le sue piccole ‘drittate’ da capomastro, abituato a rubacchiare sui mattoni, lei sta sempre sulla soglia della galera. Non c’è posto per i vecchi rimbecilliti!”.
Parla di questo, e di molti altri aspetti dell’Italia del dopoguerra “C’eravamo tanto amati”, un film di Ettore Scola, del 1974. Giuro, del 1974.

venerdì 6 gennaio 2012

L'EPIFANIA TUTTE LE FESTE PORTA VIA

E anche questo Natale… s’o semo levato da ‘e palle!”.
Con queste memorabili parole, Riccardo Garrone apriva e chiudeva il suo discorso alla famiglia in "Vacanze di Natale".
Dato che “l’Epifania tutte le feste porta via”, anch’io potrei dire le stesse parole, visto che provo lo stesso sollievo.
Nonostante la crisi, benché non mi sia mosso da Berlino e abbia deciso di trascorrere le feste con i tanti “senza famiglia volontari”, il periodo natalizio è riuscito ad avere la meglio: da metà Novembre le decorazioni e gli addobbi hanno incominciato a trasformare l’atmosfera delle vie e delle piazze; mercati, mercatini e fiere, hanno chiamato a raccolta migliaia di turisti (e non), per  regali e compere e frenesia nella corsa dell’ultimo pacchetto all’ultimo minuto anche qui nella capitale tedesca.
L’unica, inaspettata differenza è stato il fatto che Lunedì, 2 Gennaio i tedeschi hanno ripreso a pieno ritmo ogni attività, scuole comprese. L’Epifania, infatti, è una festività che celebrano solo in un paio di regioni nel sud della Germania, e che la maggior parte delle persone non conosce affatto.
E perchè celebrare la nascita di Gesù e non la sua adorazione da parte dei Re Magi?
Sono andato a cercare un po’ di informazioni sul web, ma non ho trovato risposta.
Tra le molte cose che ho letto, però, quelle che mi hanno colpito di più sono che:
1. Non esiste una datazione storica del giorno della nascita di Gesù.
2. Natale è una delle tante feste religiose che sono state sovrapposte, dalla Chiesa, a riti pagani già esistenti. Il 21 Dicembre, infatti, in occasione del solstizio d’inverno, in moltissime civiltà e fin dalla preistoria, questo periodo dell'anno si celebrava, con grandi fuochi ad illuminare la notte, candele, falò attorno a cui incoraggiare l'avvento della luce, la nascita del Sole “novello” nella sua ascesa.
3. La dodicesima notte dopo il 25 Dicembre(dunque, il 6 Gennaio), si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura.
I Romani credevano che in queste dodici notti, figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri.
4. La Pasqua è una festività mobile perché legata a due eventi astronomici: l’equinozio di primavera (21 Marzo) e la luna piena.
La prossima Pasqua, infatti, sarà Domenica 8 Aprile e cioè, la prima Domenica, dopo il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera.
Chissà perché non ci avevo mai fatto caso.