martedì 22 novembre 2011

L'ECCEZIONE CONFERMA LA REGOLA

Affrontare “certi temi” non è mai facile. Farlo in 2400 battute(spazi inclusi)senza correre il rischio di passare per qualunquisti e superficiali è difficilissimo.
Ci provo lo stesso, ma devo chiedere a chi legge di fare uno sforzo e di venirmi incontro, per evitare che quel che cerco di dire venga terribilmente frainteso.
Cominciamo con un assurdo:
mettiamo il caso che un giorno andiate in banca e che, mentre siete in fila, vi capiti di leggere un cartello con su scritto: “ Informiamo la gentile clientela che se cercaste di rapinare questa banca, potremmo chiamare la polizia senza prima avvertirvi”. Cosa vi verrebbe da pensare davanti ad un annuncio simile?
A me è venuto in mente che nelle banche dove questo cartello non c’è si possono fare rapine senza il pericolo che la polizia venga chiamata (senza prima avvertirvi) e che fare le rapine, pur non essendo legale, è un uso praticato da alcuni e tollerato da altri. Ho cominciato con l’assurdità della rapina perché spero che davanti ad un reato come il furto non si possano avere molte opinioni contrastanti.
Veniamo al reale: andando a bere con gli amici, qui a Berlino, una volta in questo bar, una volta in quel locale, mi sono trovato davanti ad un cartello che riportava questa scritta: ”Se fumate le canne in questo locale, potremmo chiamare la polizia senza prima avvertirvi”. E ho iniziato a chiedermi cosa volesse dire. Si perché, fumare nei locali(le sigarette)in molti Paesi d’Europa è ancora legale e anche le canne,seppur illegali, sono largamente tollerate.
La Germania è un Paese che combatte e punisce lo spaccio, ma che  ha depenalizzato l’uso personale di marijuana e haschisch (a secondo delle regioni e delle quantità). A Berlino il possesso per uso personale è tollerato fino a 5 grammi ed esiste un tacito accordo fra i gestori dei locali e i clienti: i primi non controllano, i secondi fumano in maniera discreta, senza essere troppo sfacciati, mimetizzandosi con la gestualità degli altri fumatori e confondendosi nella cappa di fumo che avvolge la maggior parte dei bar di Berlino.
Fanno eccezione due o tre locali, quelli dove il gestore che non condivide questo tipo di consuetudine, deve avvertire la clientela con quei cartelli, e che, dovendo puntualizzare una cosa ovvia, finiscono con l’essere assurdi.
Il detto “l’eccezione conferma la regola” mi ha sempre affascinato, ma adesso sono un po’ confuso, perché davanti a questa situazione, non so più qual è l’eccezione e quale la regola.

martedì 15 novembre 2011

DA AEROPORTO A ORTO

Domenica scorsa sono stato, con un termos di tè caldo, nel bel mezzo di un aeroporto, mentre sopra la testa mi volavano aquiloni, corvi, kitesurf e falchi, e mentre sull’asfalto delle piste d’atterraggio si alternavano skatebord, windsurf, rollerblade, bici e passeggini.
Ero all’aeroporto di Tempelhof , a 2 km dal centro della città, famoso per essere stato usato dalle truppe alleate durante il blocco di Berlino (giugno 1948, maggio 1949)come scalo per rifornire la parte ovest della città che i Sovietici avevano isolato, bloccando strade, ferrovie ed energia elettrica.
Con un ponte aereo durato 462 giorni, Berlino ovest fu rifornita di tutti i generi di prima necessità.
Finita la guerra fredda, Tempelhof ha continuato a funzionare come aeroporto civile fino al 2004, per poi essere definitivamente chiuso al traffico aereo nel 2008.
Oggi è un parco, un luogo dall’atmosfera sospesa, dall’aria surreale: la visione di questa distesa verde e pianeggiante in mezzo alle case, i due lunghi rettilinei d’asfalto delle piste piene di gente che si muovono in lontananza e l’incredibile silenzio interrotto solo dalle risate dei bambini o dai cani che abbaiano ricorrendo i corvi, sembrano il set di un film di Fellini, più che un ex aeroporto.
Già questo per me era sorprendente, era sufficiente per farmi accendere il computer e scrivere di questo posto.
La scorsa settimana, poi, sono rimasto per quattro ore a guardarmi intorno, a fare domande e a cercare informazioni online per potervi raccontare più nel dettaglio di come Tempelhof è diventato anche un orto!
Si perché, un’ associazione ha preso in gestione un pezzo di terra e lo ha messo a disposizione della gente che, gratuitamente, ha potuto avere qualche metro quadro(e cubo) di terra e di acqua e iniziare a coltivare il proprio orticello, l’uno accanto all’altro, dando vita ad un paesaggio lunare mosso da porte e finestre usate per contenere la terra (anche questa messa a disposizione dall’ associazione), pancali per sollevarla dal suolo (è pur sempre un ex aeroporto e il terreno non è proprio così Bio!)da cui sbucano insalate e finocchi, cipolle e cavoli, girasoli e margherite.
I “proprietari” degli orti hanno il diritto di usufruire dei prodotti che coltivano e tutti quelli che vanno a Tempelhof hanno il diritto di sedersi in mezzo agli orti e godersi la bellezza di questo “agglomerato bucolico” che strappa sorrisi e approvazioni a tutti.

martedì 8 novembre 2011

IL RING DI CEMENTO BIANCO

No, non c’è più, l’ hanno rimosso.
Il ring inclinato, di cemento bianco, è stato tolto dal Victoria Park.
La scultura con cui un gruppo di artisti, nel 2010, ha reso omaggio alla memoria di un pugile, non c’è più.
Era un gran pugile, un pugile “particolare”.

Johann Wilhelm Trollmann, detto "Rukeli", aveva due caratteristiche particolari che gli condizionarono la carriera e la vita: "ballava" sul ring con eleganza ed efficacia(come farà Muhammed Ali 30 anni dopo); era di etnia Sinti. Uno zingaro.
Aveva avuto una carriera brillante, viveva una vita di successo: bello, carismatico, osannato dal pubblico, amato dalle donne.
Nel 1933 era arrivato a contendersi il titolo dei mediomassimi contro il tedesco Adolf Witt. E vinse.
Vinse il titolo proprio grazie al pubblico: alla fine dell’incontro, il verdetto dei giudici nazisti fu un "no decision", un pareggio, nonostante la schiacciante superiorità di Rukeli.
La folla insorse e incoronò campione Johann Trollmann. Lo Zingaro. Che pianse per la commozione.
Di lì a poco, quelle lacrime "non degne di un pugile", furono la motivazione con cui la federazione pugili tedeschi  lo costrinse a ricontendersi il titolo. Dopo 5 round lo zingaro cadde al tappeto avvolto da una nuvola bianca: si era tinto i capelli di biondo e cosparso il corpo di farina. Minacciato dai nazisti del ritiro della licenza di pugile, fu costretto ad affrontare l’incontro senza potersi muovere dal centro del ring. Dovendo rinunciare al suo stile "danzante", sicuro di perdere, decise di farlo da "ariano".
Quella sconfitta fu l’inizio della fine della sua carriera. E della sua vita: accettò di farsi sterilizzare per non essere deportato e divorziò per evitare la stessa sorte alla famiglia.
Ciò nonostante, venne mandato al fronte a combattere e al suo ritorno fu arrestato e deportato nel lager di Neuengamme. Ridotto pelle e ossa, accettava di battersi con le guardie del campo in cambio di razioni extra di cibo. Morì ucciso da una pallottola, con indosso i suoi guantoni.
Nel 2010 un gruppo di artisti di Berlino gli ha dedicato un’opera commemorativa: un ring inclinato, di cemento bianco, nel bel mezzo di Kreuzberg.
Dopo aver letto la sua storia, avevo pensato di rendere omaggio ad un campione poco conosciuto e poco raccontato, e con un fiore sono andato al Victoria Park a cercare quel ring.
Ma non c’è più, l´hanno rimosso.