
Mentre passavamo le notti a lavorare al montaggio pensavo che fosse tutto tempo buttato via, perchè di lì a quando avremmo finito, il contenuto di quel film sarebbe stato vecchio, superato, anacronistico.
E invece, ahi noi, povero (ex)Belpaese, è ancora tutto attuale, attualissimo tanto che sto finendo i sottotitoli in inglese per la presentazione "europea" a Berlino.
Ho deciso di girare un documentario quando quattro fra i miei più cari amici, nel giro di pochi anni, hanno deciso di lasciare Prato ognuno per una diversa capitale Europea:
Praga, Berlino, Amsterdam e Santiago de Compostela.
La loro è stata un' emigrazione lenta, graduale, ponderata.
Simile a quella che dal 1982 al 2002 hanno fatto i miei genitori con il piccolo Ettorino al seguito:
la mia famiglia è siciliana, di Palermo per la precisione, e mio padre ha lavorato all'ANIC di Gela dal '63, in una raffineria di petrolio del gruppo ENI.
Poi un giorno, Ottobre '82, è partito per l'Algeria con la famiglia.
Dal quel giorno hanno fatto ritorno in Sicilia dopo vent' anni passando per Roma (5 anni) e Prato (15 anni).
Ed è a Prato, che ho iniziato a rendermi conto, scherzandoci sopra con gli amici, che quelli come me sono "figli d'emigrante"!
Nel caso dei miei genitori, Siciliani che si spostano per lavoro dal sud al centro-nord è stato facile, quasi naturale, identificare questi spostamenti come emigrazioni, perchè riconducibili ai "vecchi" canoni dell' emigrazione.
Troisi in un film diceva che un napoletano non può viaggiare: appena esce da Napoli un napoletano diventa un emigrante!
Ma quando quattro giovani, 3 ragazzi e una ragazza tra i 25 e i 30 anni nel 2006, hanno deciso di "cercare altrove miglior fortuna", lasciando una cittadina ricca e laboriosa come Prato, allora la cosa si è fatta più difficile, c'è voluto "un altro occhio", lo sguardo di qualcuno che aveva già vissuto un' esperienza simile, per riconoscere in quei trasferimenti (per amore o per lavoro o tutti e due) delle vere e proprie emigrazioni.
E' così che ho iniziato a girare "Un giorno in Europa"-Nuove forme di emigrazione-
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Flash&d_op=getit&id=13328
ed è così che ho scoperto quanti "nuovi emigranti" lasciano i propri Paesi d'origine, oggi come 50 anni fa, seguendo però degli iter che non sono più quelli di una volta perchè nel frattempo l' Europa, l' euro, i low cost hanno aperto nuove possibilità e dato vita a queste nuove forme di emigrazione.
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Flash&d_op=getit&id=13328
ed è così che ho scoperto quanti "nuovi emigranti" lasciano i propri Paesi d'origine, oggi come 50 anni fa, seguendo però degli iter che non sono più quelli di una volta perchè nel frattempo l' Europa, l' euro, i low cost hanno aperto nuove possibilità e dato vita a queste nuove forme di emigrazione.
I nuovi emigranti iniziano a raccontare la nuova realtà in cui vivono e a confrontarla con quella da cui provengono, vivono per un periodo a Prato e per un periodo all'estero, fanno i loro conti e lasciano il loro Paese d'origine "per cercare altrove miglior fortuna".
Ed io lì ad ascoltare le loro storie, a tagliarle e cucirle per metterle insieme e poterle raccontare agli altri, per cercare di dare voce a loro e a quelli che, come loro, stanno dando vita ad un fenomeno che è grande e che sta accadendo adesso, oggi, in questi anni.
Da qui il passo è stato breve: il mio lavoro di tecnico teatrale non mi dava più le certezze economiche e le soddisfazioni che mi aveva dato negli ultimi 10 anni, i compromessi si facevano sempre più svantaggiosi per me a favore delle produzioni teatrali che lamentavano la mancanza di fondi e di sbocchi; il sapore del caffè al bar era sempre più amaro corretto da quella lamentela cronica che accomuna gli italiani da Trieste a Palermo e...
E allora mi ricordo che Berlino è una metropoli a misura d' uomo, dove una sopravvivenza dignitosa costa "il giusto" e te la guadagni lavorando 2 o 3 giorni a settimana, mentre cerchi di riorganizzare le idee, di imparare la lingua, di trovare la maniera di ricominciare, di continuare a fare la tua professione qui come lì, o di ripartire da capo, magari inseguendo uno dei tanti sogni che in Italia avevi chiuso nel cassetto dell'armadio che avevi messo in cantina e di cui avevi perso la chiave.
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