sabato 18 febbraio 2012

UN ANNO DI "FILO DIRETTO"


Era in occasione della Berlinale dello scorso anno che, per la prima volta, è stato teso questo “filo diretto” tra Berlino e Prato.
Anche quest’ anno, dal 09 al 19 Febbraio, qui nella capitale tedesca sta per concludersi la 62esima edizione del Festival internazionale del cinema.
Tre sono i film italiani: l’unico in concorso è“Cesare deve morire”, dei fratelli Taviani, mentre, nella sezione Panorama Special c’è “Diaz” documentario di Daniele Vicari, sui fatti, non ancora del tutto chiariti, avvenuti nell’omonima scuola durante il G8 di Genova e, sempre sullo stesso tema, nella sezione Panorama, "The Summit", un altro documentario di Fracassi e Lauria.
Come vi dicevo qualche settimana fa, cerco di sapere il meno possibile dei film che vado a vedere e
quelle poche cose che mi erano, inevitabilmente, arrivate alle orecchie sull’ ultimo lavoro di Paolo e Vittorio Taviani, non promettevano niente di buono: si vociferava di un “film lento e noioso” . Anche leggendo i nomi degli attori mi ero detto “ o bene, bene o male, male”, visto che non ne conoscevo neanche uno. Poi, Christiane, la signora a cui do lezioni di Italiano, mi ha invitato ad andare alla prima di questo film, interamente girato nelle celle, nei corridoi e nei cortili del carcere di Rebibbia con i detenuti/attori nei panni di loro stessi che provano e mettono in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare a cui il film è stato liberamente ispirato.
Il pubblico in sala ha accolto con un bell’ applauso i registi toscani già prima della proiezione e con uno più lungo e sentito li ha accompagnati sul palco alla fine del film, smentendo, di fatto, le critiche degli addetti ai lavori.
“Da quando ho scoperto l’ Arte, questa cella è diventata una prigione”. Questa frase segna uno dei momenti più commoventi del film; la dice Cosimo Rega che, dopo il momento di gloria da attore, spogliatosi dei panni di Cassio, viene riaccompagnato e chiuso in cella da un secondino. Soprattutto in quel momento si percepisce quanto sia stata indovinata la scelta del bianco e nero per raccontare la fredda realtà del carcere, e del colore usato solo per riprendere i momenti di teatro. I miei complimenti vanno a tutto il cast, ma in particolare ai fratelli Taviani, a cui non è mancato il coraggio di presentarsi alla Berlinale, nel 2012,  con un film sul “Giulio Cesare”, tutto girato all’interno di un carcere e senza neanche la presenza di una donna.

Nessun commento:

Posta un commento